Negli ultimi anni gli investimenti in valute digitali sono aumentati in maniera esponenziale, soprattutto grazie allo sviluppo di nuove tecnologie sempre più innovative.
Le valute digitali (o criptovalute) sono sequenze di codici criptati, creati in modalità digitale attraverso articolati algoritmi matematici. Possono essere acquistate, scambiate o vendute attraverso piattaforme online, denominate exchange, attraverso i broker, oppure conservate in appositi portafogli elettronici (i cosiddetti wallet). È possibile, infine, utilizzarle per effettuare acquisti online.
Le piattaforme exchange e i broker sono siti online, il più delle volte esteri, che permettono di effettuare compravendite di criptovalute ma, di contro, non hanno l’obbligo di comunicare le transazioni al fisco, al contrario delle banche italiane che fungono da sostituto d’imposta in regime amministrativo. Ciò significa, quindi, che deve essere il singolo investitore a preoccuparsi di effettuare tutti gli adempimenti con l’amministrazione finanziaria: in questi casi risulta quindi l’unico responsabile della tassazione delle criptovalute.
Sotto il profilo fiscale, la normativa italiana è carente in materia di tassazione delle criptovalute: non esiste infatti una fonte unica a cui fare riferimento, bensì varie sentenze di tribunali e documenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate, i quali hanno creato non poca confusione tra gli investitori. Capire quanto e come pagare le tasse sui propri investimenti in valuta digitale potrebbe essere davvero un problema, non solo per il contribuente ma anche per i commercialisti che, proprio in mancanza di una normativa specifica, potrebbero dare consigli errati.
Come Funziona la Tassazione delle Criptovalute in Italia
Secondo l’Agenzia delle Entrate le criptovalute sono equiparabili agli investimenti in valuta estera con corso legale. Viene, infatti, applicata la loro normativa di riferimento. Come per la cessione di questo tipo di valute, anche la vendita di criptovaluta genera una plusvalenza imponibile su cui pagare le relative imposte. Per molti esperti, però, questa equiparazione crea non pochi problemi, soprattutto per le numerose criptovalute in circolazione e per le diverse caratteristiche che possiede ciascuna di essa.
Per capire come funziona la tassazione in Italia, bisogna innanzitutto distinguere il caso in cui le criptovalute rimangono all’interno del wallet dal caso in cui le stesse vengono vendute.
Nel primo caso l’investitore ha solo l’obbligo formale di comunicare all’amministrazione finanziaria il valore delle criptovalute detenute all’interno dei propri wallet. È una dichiarazione meramente informativa che, proprio per la sua natura, non genera tasse da versare. Tale adempimento viene effettuato in sede di dichiarazione dei redditi compilando l’apposito quadro dedicato al monitoraggio fiscale degli investimenti e delle attività estere.
Diversa è la vendita di criptovalute. In questo caso il contribuente, oltre ad informare l’Agenzia delle Entrate sul valore delle criptovalute detenute nel proprio portafoglio elettronico, dovrà versare le relative tasse sulla plusvalenza realizzata dalla vendita di valute digitali. Nel caso in cui dovesse, invece, realizzare delle minusvalenze, rimarrebbe obbligatorio anche in questo caso dichiararle in quanto diminuiscono, per l’anno in corso e per i quattro successivi, le eventuali altre plusvalenze realizzate dal contribuente nello stesso anno.

Come si Calcola la Plusvalenza e Qual è l’Aliquota Applicata
Le imposte sui guadagni realizzati vengono calcolate solo se le criptovalute vengono prelevate da portafogli elettronici wallet la cui giacenza sia superiore a 51.645,69 euro, per un periodo di almeno sette giorni lavorativi continui nell’anno d’imposta in cui è avvenuta la cessione. Secondo l’Agenzia delle Entrate, tale giacenza deve essere verificata considerando tutti i wallet detenuti, indipendentemente dalla loro tipologia. Ciò significa che bisogna considerare nel calcolo anche il valore delle altre valute estere tradizionali.
Per calcolare il valore delle criptovalute ai fini dichiarativi e impositivi, bisogna determinare il loro controvalore in euro al primo gennaio dell’anno di riferimento, ottenuto considerando il tasso di cambio indicato nella piattaforma dove sono stati effettuati gli investimenti.
Una volta stabilito il controvalore in euro delle criptovalute, bisogna confrontarlo con il costo di acquisto delle stesse, considerando cedute per prime le valute digitali acquistate più recentemente (Metodo LIFO che sta per Last In First Out). In questo modo sarà possibile calcolare la plusvalenza ottenuta dalla cessione delle criptovalute.
Se la giacenza calcolata supera il limite stabilito dalla normativa, allora sulle plusvalenze ottenute dalla compravendita delle criptovalute deve essere applicata un’imposta sostitutiva pari al 26%. Le criptovalute detenetu andranno dichiarate nel quadro RW, mentre le plusvalenze e le tasse da pagare nel quadro RT.
Criticità della Normativa Italiana
Come abbiamo già accennato, in Italia regna l’incertezza in materia di tassazione delle criptovalute. La norma applicata al momento sembrerebbe vantaggiosa per i piccoli investitori, ossia quei soggetti che detengono criptovalute il cui valore non supera 51.645,69 euro e che, pertanto, non pagano tasse. Questi devono solo indicare il valore delle valute digitali detenute in un’apposita sezione della dichiarazione dei redditi.
E qui sorge uno dei problemi principali della tassazione delle criptovalute in Italia. La normativa, infatti, non prevede un importo minimo da comunicare e, pertanto, anche chi detiene criptovalute per importi piccoli, è tenuto a dichiararli. Molto spesso, però, i piccoli investitori non sono a conoscenza di questo obbligo comunicativo e, quindi, si trovano a loro insaputa in una situazione di irregolarità fiscale.
Altro problema, sempre legato alla dichiarazione delle criptovalute detenute, consiste nel fatto che la relativa norma è retroattiva. Ciò significa che anche chi ha acquistato criptovalute prima della sua entrata in vigore, si ritroverà in difetto con il fisco.
L’Italia dovrebbe, quindi, adeguarsi a questo nuovo modo di investire ed emanare una normativa ad hoc in grado di disciplinare in maniera chiara e, soprattutto, univoca la tassazione delle criptovalute. Il trading ormai sta avendo una grande diffusione e molti Paesi, come la Francia e la Germania, hanno già adeguato il loro sistema normativo a questa nuova forma di investimento digitale.